CASTROVILLARI - IL VIAGGIO DI DANIELE MORACA IN UNA VITA CHE NON ASPETTA et  at:  24/11/2014  

Castrovillari - Il viaggio di Daniele Moraca in una vita che non aspetta  - E'  spesso dura e solitaria la vita di un musicista, bella e malinconica, un' esperienza totale che unisce e separa. " La vita non ha prezzo / ma io ho sempre pagato " canta Daniele Moraca, cantautore originario di Colosimi, docente di musica e cultore di studi antropologici, spirito indomito in perenne viaggio e performer di indubbio talento. I suoi versi e le sue musiche – generosamente offerti in un bel concerto a titolo gratuito tenuto sabato 22 novembre a Castrovillari, presso lo studio fotografico L’Immagine di Carlo Maradei, per l’organizzazione di Annamaria Caputo – sanno sorprendere, accarezzare e lacerare. Parlano di viaggi e di inattese osservazioni, di amori e separazioni, di attese e di slanci, di “mani curate e perfette” capaci di dare piacere e dolore. Dentro lo spazio di una canzone, la joie de vivre e l’ansia per quello che sarà. Ma tratteggiano pure figure fuori dall’ordinario, raccontano di bambini e di matti, di sopravvissuti all’orrore di una guerra e di personaggi conosciuti e poi liberamente reinventati.  Lungo queste traiettorie esistenziali i tempi si dilatano, le ansie e i pudori si confondono sciogliendosi nei ritmi calmi e nei riff insistiti di quella chitarra che, in fondo, è l’unica compagna di viaggio su cui fare affidamento. Quella castrovillarese, allietata da un buon successo di pubblico, è stata una serata ricca di suggestioni, certamente innerbata dai notevoli disegni d’autore di Giampiero Scola, altro calabrese dal multiforme ingegno, giovane avvocato e abile ritrattista dei grandi spiriti (da Lou Reed a Pasolini, da Pessoa e Wilde alla Sofia (inter-)nazionale, passando per un’altra icona italiana, “l’iniziatore di tutto”, Domenico Modugno); ma arricchita pure dai contributi di altri e prestigiosi ospiti, dalla pregevole lettura di una delle più belle poesie (“Il pendolo”) del genio ribelle surrealista Antonin Artaud regalata dall’attore e autore teatrale Dario De Luca, al generoso contributo del musicista Sasà Calabrese, che ha invece improvvisato con Moraca una versione molto intensa di “Senso unico” (il coraggio e la paura che si rivelano nei versi “L’Europa è immensa / sì lo so che cerco qualcosa / o forse no. / Mi porto dietro quel ritratto di van Gogh”) e letto un suo lungo pensiero sulla vita errante dei musicisti.  Un musicista-poeta come Daniele Moraca – “menestrello di vita” e “cantautore antico”, così come lo definisce la critica – compone sempre all’insegna della massima libertà espressiva, con la forza emotiva dell’outsider della vita, di chi attinge alle contraddizioni della condizione umana distillandone in sparse gocce i profumi e gli olezzi della strada, fra tenerezze e delusioni, abbracci ed abbandoni.    Il Sud che canta è visto in chiaroscuro, intriso di incompletezza e duplicità (“Ma che bella città / era strana / era costruita solo a metà”), è un orizzonte animato dal canto delle sirene, è attrazione e repulsione: in definitiva, poesia vera. E’ in questa terra di nessuno e di tutti che si incontrano amori impensati, visioni sospese e destini forse già scritti: da qui l’infinita ricchezza dei “Matti” (“Loro sì che si vogliono bene”, mentre nel mondo dei cosiddetti ‘normali’ desolatamente forse “non c’è nulla da immaginare”), i lenti fotogrammi di una guerra (“Puoi scegliere fra il paradiso e l’inferno. / Puoi fuggire anche adesso / ti sparo perché mi hanno costretto”), l’innocenza violata dei bambini (“Se ti guardano negli occhi ti fan tenerezza”, con i loro vestiti lisi e le scarpe consumate dietro al sogno di “un tramonto visto mai”).  E poi ancora avanti, o indietro che fa lo stesso, e di canzone in canzone si rincorrono singolari amicizie del cuore (come in “Otello”, il pittore che “dipingeva la natura e il sole. / Quanti colori nel suo pennello / il suo nome lo conoscete / era Otello”), afrori ingannevoli (“… poi prendi una rosa / profumo di cosa”), amori reinventati sul crinale di un gioco triste e liberatorio (“Questa storia la racconto / perché mi fa bene /…/ Ho bisogno di parlare un po’ con te”). Fino alla schietta confessione di “Ho bisogno di te” (“Ho bisogno di te / ne ho bisogno davvero”), bellissimo frammento di un amore che non passa mai e che ciò nonostante prelude a una nuova partenza, in un finale di concerto che, al ritmo di bossa nova, si alza per inseguire le tracce sospese di “Un’aquila e di una nuvola”.  L’eterno rincorrere un orizzonte possibile, un nuovo incontro, un’altra meravigliosa illusione. Una vita che non aspetta. Antonello Fazio

 

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