CULTURA, CONIGLI E POLEMICHE et  at:  14/02/2013  

Cultura, conigli e polemiche - Nuvole vieppiu' cariche di pioggia si addensano nei cieli di questa Calabria in crisi di idee e di ideali, spogliata di rappresentanza e derubata di orizzonti possibili. Nuvole nel senso " deandreiano " del termine, e' evidente, con tutti i rimandi colti all' Aristofane piu' graffiante. Mentre le elezioni politiche sono ormai alle porte e si moltiplica la convegnistica d' occasione – a Castrovillari, ad esempio, in questi giorni si discute delle buone pratiche in ambito amministrativo – scoppiano qua e la' in Calabria piccoli e grandi focolai di crisi. Particolarmente agitato appare, nella difficile congiuntura che more solito colpisce la triade sanita'-scuola-cultura ma salva prebende e spese militari (ah, dove siete spread, spending review e politiche virtuose, che soccorrete i contabili del nostro sfacelo?...) , il mondo della cultura.  Forse perché, del clima attuale, quel mondo e le sue mille contraddizioni-contorsioni-frustrazioni sono un esempio molto significativo, quasi paradigmatico.  Così, soffocati dall’appassionante dibattito su chi occuperà le poltrone da fine febbraio in poi, si assiste ad un ente regionale che, attraverso l’assessore competente, l’onorevole Mario Caligiuri, tira fuori dal cilindro il coniglio di un testo unico di legge (“Un solo calderone che dovrà includere ogni evento, manifestazione o spettacolo”, così è stato definito) che da un lato scontenta chi pensa e produce cultura (alta o bassa, non importa: sarebbe più sensato dire “buona” e “cattiva”, “di qualità” o “scarsa”) e dall’altro generosamente nobilita chi, con umiltà o presupponenza, campa di sagre e di compulsione folkloristica (spesso dietro il paravento sacro, in Calabria, delle tradizioni e della ricerca mai praticate).    E poi ci sono i casi locali, come quello che riguarda il piccolo Teatro della Sirena di Castrovillari, poche decine di posti a sedere e una robusta programmazione non limitata al teatro puro, che pare (formula d’obbligo, perché in latitanza di confronto torti e ragioni si perdono in un tutto indiscriminato…) sia in procinto di chiudere perché dimenticato, emarginato, umiliato. Da chi? Non dalla gente, pare di capire, visti i riscontri di pubblico agli eventi organizzati dalla struttura. Piuttosto dalla politica, da vecchie o nuove tendenze culturali che la farebbero da padrone, da miopie varie.  Comunque stiano le cose, e di chiunque siano le colpe, il fatto è che questo “libero teatro popolare d’arte di Calabria Citra” sembra giunto alla fine dei suoi giorni o comunque ad una svolta decisiva, «dopo 10 anni ininterrotti di attività e oltre due anni di programmazione in autogestione assoluta con più di 170 manifestazioni all’anno». Così sostiene il direttore della struttura, l’attore-autore-regista Giuseppe Maradei, poiché «l’ingiusto ed inspiegabile stato di indifferenza assoluta e di completo disinteresse da parte dell’Istituzione Comunale nei nostri confronti ci ha portato a prendere una decisione dolorosa ma inevitabile: quella di non dare luogo alla terza stagione di Teatri da camera e alla quarta edizione di Visioni».  Maradei ed il suo personale “j’accuse” non si fermano:  «Forse, da parte nostra, si è sbagliato ad investire e fare ‘volontariato’ in una terra dove pare ogni giorno più evidente che la professionalità, il talento e l’impegno non contino gran che di fronte  al diffuso ‘comparaggio’ (o ‘padrinaggio’, che poi nella sostanza è la stessa identica cosa) e alla manualità acquisita nell’andare a bussare a porte e portoni per la questua ordinaria quotidiana.  Forse avremmo dovuto fare come altri che, nel legame con il territorio, hanno individuato solo uno strumentale pretesto per avere una vacca da mungere. O magari trovare ‘cavalli di Troia’ nei palazzi della politica che, alla faccia di ogni sorta di ‘conflitto di interesse’, possano sponsorizzare di volta in volta interessi di propri associati, amici, compari ed affini.  Sicuramente siamo un piccolo teatro, anche se piccolo fisicamente, ma non certo per spessore del lavoro e per funzione sociale svolta. Comunque, al di là di ogni polemica, sicuramente non pretestuosa, una cosa è certa: un Teatro che chiude è sempre un fallimento per un paese civile». Ma in un paese civile – normalmente civile – in casi del genere tutti i soggetti politico-istituzionali e culturali interessati non dovrebbero sedersi (nei tempi opportuni per una buona programmazione, non a babbo morto o per trovare rimedi spesso peggiori del male stesso)  intorno ad un tavolo e discutere del reale e del possibile, e magari anche creare uno spazio adeguato per il sogno e l’impossibile? In un paese civile – normalmente civile – la cultura ha una sua dignità che si afferma nel lavoro, nella capacità di raccontare la storia e l’attualità, nella invenzione di nuovi schemi e di nuove vie espressive. E la politica dovrebbe “limitarsi” a creare le condizioni perché le idee e i talenti prosperino, il che implicherebbe senso della moderazione e la capacità di tessere un qualche filo prezioso che riunisca tutte le iniziative ed i fermenti culturali. Senza predilezione – passata, presente e futura – per niente e per nessuno che non abbia la legittimazione della qualità.  Questo paese avrebbe bisogno di “battaglie” culturali, di dialogo e di “polemos” autentici, di vivere cose intelligenti in luogo delle solite polemiche sterili – quest’ultime, poi, puntualmente vissute tra clamori insignificanti e silenzi assordanti.  Questa Castrovillari avrebbe bisogno, ormai da anni, di capire cos’è la cultura, distinguendola da carabattole e cianfrusaglie, dalla “fuffa” che sovente circola col favore di vento e che è buona tutt’al più come arma di distrazione di massa.  a.faz.

 

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