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La Torre Infame
La Torre Infame

" L' infausto imperatore Carlo V nel 1519 per necessità di danaro e per questo asserendo: < havere et legittime possidere la Terra di Castrovillari di Calabria Citra, quella libere vendidit et alienavit Ill. Ioanni Baptistae Spinelli, Comiti Cariati proprose suisque haeredibus et successoribus in perpetuum cum eius castro >. La vendita della città fu evidentemente mal vista dal popolo che corse nelle piazze a tumultare, e, a dire del De Rubeis minacciando di cacciare i satelliti del duca. Si venne infine alla conclusione d' un patto nel quale si stabilì che castellano del castello, il quale adibito a prigione incuteva il più grande terrore, fosse sempre un castrovillarese. Se Giovanbattista Spinelli tenne fede ai patti stipulati con la Universitas di Castrovillari, suo figlio Ferdinando Spinelli  invece fece il contrario, dando inizio ad una serie di abusi e soprusi che ridussero il popolo in tristi condizioni ". Così chi per disgrazia veniva condotto in prigione, di qualunque gravità fosse la causa il duca sotto il titolo di Portello, faceva esigere dal custode grana 25 se doveva essere rinchiuso ne la fossa; grana 20 se nel mozzanile; grana 10 nel cortile. Nel 1579 la città passò nelle mani dei Sanseverino e dopo un breve periodo di riacquistata libertà ritornò nelle mani degli Spinelli:  il castello con la sua Torre Infame continuò ad essere luogo di martirio e di dolore. Ancora peggio andarono le cose durante la lotta al brigantaggio capitanata dal generale Manhes, che a dire del Botta era di aspetto grazioso, di tratto cortese, non senza spirito, ma di natura rigida. Il generale fu più volte in Castrovillari e nella torre venivano rinchiusi i briganti in gran numero. La torre di Castrovillari angusta e malsana videne perire nell' insopportabile tanfo gran moltitudine. La repressione francese del brigantaggio fece della torre un " carnaio,donde ebbi e sazi ne uscivano i corvi " come si legge nel macabro racconto del Du Camp. Il poeta Cesare Malpica dopo averla definita cimitero di vivi così continua:" Di sotto al primo piano del torrione s' apriva un sotterraneo profondo, angusto, tenebroso, non mai visitato dalla luce, non abitabile neanche dalle belve. Laggiù si gettavano a centinaia i briganti; laggiù si abbandonavano all' orrendo destino senz' aria, senza cibo, senza conforti, senza speranza. Gemeano! La fossa non aveva eco pei gemiti. Percotean la muraglia coi pugni chiusi, colla bocca spumante, cogli occhi torti per disperato dolore! La muraglia era qual di ferro fuso. Morivano! I vivi avevano un letto di cadaveri sotto i piedi. Si putrefacevano questi! Il lezzo insopportabile era morte ai  superstiti. -Oh! Nello inferno di Dante non v' ha bolgia pari a questa creata dai pacificatori delle Calabrie. Laggiù la scena di Ugolino si ripetea cento volte al dì e nessuno gridava: deh se non piangi di che pianger suoli! Aver misericordia era delitto d' alto tradimento; esser spietato era fedeltà".