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La festa di S. Maria della Pietà
Liberamente tratto da: " Castrovillari miscellanea " di Ettore Miraglia

Chiesa della Madonna della Pietà, fai clic per ingrandire l' immagine

La festa di S. Maria della Pietà
A due miglia circa dalla città di Castrovillari occorre una Chiesetta sotto il titolo della Pietà, sorgente in mezzo ad una ridente ubertosa pianura che si stende ai piedi della Serra del Dolcedorme, dalle cui vette scoscese e coniche viene dominata e signoreggiata.
Domenico Casalnuovo, erudito sacerdote, fiorito in sulla fine del secolo XVII, nel suo molto prezioso interessante manoscritto sulle “Antichità di Castrovillari” ci ha tratteggiato in breve sintesi
contrariamente a quel suo solito dire ampolloso e ridondante la storia di questa chiesetta e della relativa festa “che è alli 15 d’Agosto”.

Era di proprietà d’un certo Sir Antonio Riccardo che nel 1484 la cedè al Clero di Castrovillari. Il mercato che ivi si tiene fu concesso per spontanea compiacenza dalla , “felice memoria” della Regina Giovanna la Pazza, madre dell’Imperatore Carlo V, “agl’huomini e cittadini di Castrovillari”, “per essersi portati valorosi nelle guerre che ebbe detta Regina in quei tempi, come il tutto appare nel Privilegio fatto nel secolo del 1500 che si conserva nell’archivio di detta città” (oggi non si trova più). Ma nel 1522, il Principe di Bisignano, D. Pietro Antonio Sanseverino, “padrone e Signore di tutta questa Comarca, fece proibitione”, a tutti i suoi vassalli di quelle terre e luoghi circonvicini di andare in quel mercato, si che questo ,“per la mancanza delli genti andò man mano minuendo”, e si distrussero persino quelle due abitazioni ivi sorte a causa della fiera delle quali il Casalnuovo ai suoi tempi scorgeva ancora le tracce e i ruderi che debbono confondersi con quelli che oggi si vedono attaccati alla Chiesa, perché quivi erano le stanze riservate ai Sacerdoti ed ai Magistrati. Coll’ andar del tempo questa Comarca, essendosi distaccata dal dominio di molti Signori Principi, Duchi, Marchesi e Baroni, fu rivolta supplica a Filippo IV, Re di Spagna per la reintegrazione di detto mercato, il quale venne infatti ristabilito, ma anziché tenersi nel mese di maggio come prima si tenne nei 15 di agosto e d’allora fu fatto sempre così. Si svolgeva per l’occasione un cermoniale alquanto caratteristico che ,“veramente pare una cosa bella”. Cioè il Mastro-giurato, che esercitava la sua giurisdizione sul mercato per speciali privilegi dei re Aragonesi, si recava in questo luogo con la Bandiera Reale di 5. M., accompagnato da tutta la nobiltà e compagni d’Infanteria “con tamburi e trombette”. La Bandiera reale veniva otto giorni prima issata sul Campanile di S. Maria del Castello, e dal Curato di questa con molto solenne cerimonia innanzi ad un giudice, un Notaio e testimoni veniva consegnata al Sindaco dei Nobili di Castrovillari che a sua volta la consegnava al Mastro-giurato, il quale col suo chiassoso ed imperioso seguito, si recava “alla Pietà” tra le molte riverenze ed omaggi del popolo festante. Per i Castrovillaresi il Ferragosto è rappresentato dalla ,‘festa della Pietà” la quale ha importanza folkloristica non piccola, poiché in questa occasione hanno luogo alcune cerimonie ed usi che si conservano tenacemente specie in quella parte schietta del popolo che delle antiche tradizioni fa una religione. Nella presente ricorrenza i nostri contadini si fidanzano e il tutto si svolge in questo modo. Il giovane innamoratosi di una fanciulla, la fa oggetto di un continuo corteggiamento, seguendola sotto le sue finestre sulle quali ridono gaiamente garofani rossi e rose fiori preferiti dalle nostre contadine e nella notte alta accompagnato dagli amici vi va a sposare al suono della chitarra una amorosa canzone che è un’esaltazione continua della bellezza della fanciulla, che spesso viene paragonata e chiamata così:
Ohi rosa russa, culurita e bedda
l’fui lu prim’amanti chi t’amai,
e il canto continua
T’amai ch’erisi tu ‘na quatraredda,
e giuvinu di tia m’innamurai.
Ma quidd’amuru cchiù no mi dà paci,
Ca ‘ntu pittu m’ha fattu na furnaci.
Ed è così forte la passione che al giovane senza l’amore della fanciulla anche il sole parrebbe spento:
E senza di ssu beni e di ss ‘amuru
Puru lu soli mi pareri scuru.
Spesso la dolce canzone è creazione del giovane stesso e si svolge or calma e languida or rapida e veemente ad esprimere l’ardore dell’amore ed i suoi accenti sono sempre d’una semplicità sorprendente. Il giovane personalmente va a chiedere la mano della fanciulla che per lo più gli è sempre accordata.
Così il “giorno della Pietà” accompagnati dai genitori, dai parenti, dagli amici, gli sposi si recano alla Chiesetta per ascoltare la Messa, all’uscita della quale si vedono gli sposi ornati di anelli d’oro e la sposa specialmente fa mostra di numerosi oggetti di oro
avuti in dono, ornanti le mani e il petto rigoglioso e passano impettiti e tronfi per far meglio ammirare le loro gioie, per cui il più delle volte si assiste a scenette alquanto gaie, simpatica- mente belle, mentre si vedono vecchiette avvicinarsi con curiosità ed esclamare: Diu a binidica, fora mal ucchi!! Quindi dopo aver fatto la rituale bevuta dell’acqua freschissima e molto chiara, sorgente di sotto la Chiesetta, vanno in giro per il mercato, ove come tutti sogliono fan provvista di formaggio e comprano il maiale per il prossimo inverno! Il tutto chiude con un pranzo sontuoso in cui si consumano maccheroni fatti a casa e capretti al forno, intramezzati e rallegrati da brindisi esaltanti le virtù dei fidanzati, mentre i melloni aumentano la gaiezza per l’incertezza che presentano se rossi o “cucuzza”. I pellegrini si recano a questa Chiesetta la vigilia della festa pernottandovi e soglion portare nel che si riscontrano usanze degli antichi popoli pagani monili d’oro, cinte finemente lavorate, rami di ginestra recanti sugli steli fibrosi nodi a ciascuno dei quali è affidato il voto segreto d’una fidanzata o di una sposa; fazzoletti che depongono ai piè della Madonna per farli benedire e poi questi si toccano le parti sofferenti del corpo. E insieme van mormorando dietro la Madonna portata in processione fervide preci, schiette come il sorriso dell’innocenza, facendo risuonare quei luoghi di canti semplici come il loro cuore. I contadini offrono alla Madonna le primizie di questi tempi, e spesso la statua è fatta volgere verso le case coloniche ove giace qualche ammalato. Un tempo s’usava offrirle un maialetto o pezzi di formaggi. Una gioia intimamente bella si gode nella piccola chiesa ove le donne tutte stanno in ginocchio percuotendosi il petto e tu senti un continuo singhiozzar profondo, un gemere sommesso, un flebile misterioso favellio, al quale d’un tratto succede un silenzio che è come il rasserenarsi improvviso del cielo dopo la tempesta salutato d’un subito dal canto di cento voci alle quali si accorda l’argentea voce delle giovanette che compiendo una specie di contrattempo formano quasi un coro sopra un coro, sì che tu scordi d’essere sopra la terra e vivi momenti di commozione e di estasi sublime. Fuori invece al gridìo dei venditori, al fischiettar dei bambini, al canto dei cantastorie, si unisce il sorriso e l’allegria delle gioiose comitive che sdraiate sul tappeto dell’erba fittissima all’ombra degli alberi circostanti giuocano e cantano. Questa festa è davvero un caleidoscopio di fogge bizzarre, una piccola babele di dialetti, un incrocio di costumanze e di riti. Ma quel che io guardo (permettetemi) con più tenera compiacenza sono le donne albanesi, facenti sfoggio di vesti trapunte, orlate di galloni, di frangie di oro, ricordanti il lusso e lo sfarzo orientale. Le vergini dagli occhi cilestri, dalle guance imporporate di rosa, dalla persona snella ti presentano un tipo di bellezza molto perfetta, mentre le spose, procedenti più severe ma sempre belle sfolgorano con quel loro diadema ricamato riccamente d’oro che si intreccia alle chiome abbondanti, con quei riflessi aurei sul petto procace che si profila dall’ accentuata scollatura. Uno spettacolo suggestivo si ha dopo il tramonto, quando è di già cessato il fragore dei mercanti. Al calar della notte vedi accendersi quà e là per la campagna grandi fuochi (fucarine) che spandono sul verde cupo della campagna un roseo chiarore che riflettendosi sulle acque dei ruscelli acquista e dà mirabile varietà di colori e di bagliori. Senti il concerto di villerecci strumenti, cui si sposano le rustiche canzoni; vedi coppie di vispe leggiadre forosette intrecciar parole soavemente sorridendo e coi colori sgargianti delle loro vesti infondono un’allegrezza e una gioia indicibile. E’ una festa continua di canti di suoni di gioia che si ricorda quando è trascorsa e che si torna ad aspettare da tutti facendo mille progetti perché non si può dimenticare la spensierata allegria d’una bella giornata e un luogo così ridente, ove la natura ha dispensato con prodigalità regale le più invidiabili bellezze e le più ricche risorse, dalle panoramiche alle idriche, dalla vasta pianura rigogliosa di verde vegetazione all’orrido pittoresco delle due valli profonde bagnate da due ruscelli che formano poi il Lagano tappezzate di fitte boscaglie ove a notte trillano gli usignuoli e dove il cuculo scandisce il suo monotono ritornello.