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La banda dei " saracinari "
Liberamente tratto da " Castrovillari miscellanea " di Ettore Miraglia edizioni Prometeo

Notizie tratte da un fondo giudiziario sul brigantaggio nell' Italia meridionale ( 1862-1866 ), conservato nell' Archivio Centrale di Stato in Roma, costituito da 1987 processi.

" E' da ricordare la banda dei saracenari. Composta di venti briganti,talvolta di quindici o di sei, era capitanata da Carlo Di Napoli, fu Lorenzo di anni trentatrè e da Domenico Di Pace, di Stefano di anni ventotto, nativi di Saracena. Di essa faceva anche parte spesso saltuariamente, Angelo Maria Cucci di Spezzano Albanese, indicato qualche volta anche come suo capo. Una banda che con la sua azione delittuosa sparse il terrore e lo scoraggiamento tra le popolazioni di Spezzano Albanese, Acquaformosa, Mottafallone, Firmo, San Sosti, Saracena e Morano. Dotata di impressionante mobilità, dovuta alla perfetta conoscenza dei luoghi, riuscì quasi sempre a sfuggire alle forze dell' ordine. Nella notte dal 10 all' undici settembre 1863 Saracena venne occupata dalle truppe di guarnigione a Castrovillari. Furono perquisite  case sospette e quelle dei due capi briganti nella certezza di trovarvi armi e denaro. Ma non fu trovato nulla e nessuno parlò... Nell' agosto del 1862, la banda dei saracenari si presentò ad un gruppo di pastori a Novacco, uno dei quali, Vincenzo Bellizzi, ebbe mozzato l' orecchio con una coltellata, perchè sospettato di dare notizie ad essa contrarie. Il 25 luglio 1863 la stessa banda fermò nel bosco denominato Valle del Ceraso, in territorio di Saracena, Francescoantonio Pugliese di San Basile, detto Capo di Lupo. Lo legarono e lo costrinsero  a seguirla. Alla famiglia fu inviata una richiesta di 200 ducati ma nella notte, mentre i briganti dormivano, il Pugliese riuscì a fuggire.  Nello stesso mese di luglio, nel territorio di Saracena, località Carambola, la banda dei saracenari si imbattè in un forese del marchese Gaetano Gallo, di nome Nicola Braile di Porcile, al quale impose di recare < l' ambasciata al di lui signore di fare tenere sollecitamente sessanta ducati, sotto minaccia di gravi danni alle sue proprietà in caso d' inadempimento >. Il Braile, al suo ritorno riferiva la risposta negativa del marchese, non fu creduto e venne violentemente picchiato. Dopo di che i briganti uccisero a colpi di fucile 17 vacche del marchese che il Braile teneva al pascolo. La banda dei saracenari spesso operò con le famigerate bande La Valle, Palma e di Antonio Franco, a quella di quest' ultimo si unì quando aveva divisato di trasferirsi in Basilicata. Della banda fa anche parte in questa fase, il brigante Giovanni La Banca di Terranova del Pollino, che il 9 agosto 1864 risulta associato alle carceri di Castrovillari, come ne aveva fatto parte un altro brigante, Giuseppe Rizzo di Morano, ucciso l' otto gennaio 1863 dal giovane figliuolo di un possidente di Frascineto, Giuseppe Ferrari, che, per tale atto, venne premiato dal Colonnello Fumel e dal governo italiano con 300 ducati. L' undici luglio del 1863, Francesco Bellizzi, di anni 34 da San Basile, aveva trasferito da Camarata al Pollino la mandria di Vincenzo Pace, fu Muzio, comandante della Guardia Nazionale in Castrovillari. Verso le ore 22, mentre era intento a fare caciocavalli, si presentò al Bellizzi la banda dei saracenari, formata da sei persone: Angelo Maria Cucci, il Di Napoli, il Di Pace e tre di Mormanno, tutti briganti dal modo di vestire. Erano armati e con abiti nuovi, portando cappelli bordati con lunghe strisce di vellutino, frastagliate di filetti d' oro, quali terminavano sul cocuzzolo con due piccoli bottoni di madreperla. Lo spezzanese aveva un orologio con laccio d' oro,sporgente in fuori e le dita della mano piene di anella in segno di comando. Dopo essersi trattenuta nel casolare del Bellizzi, si diresse alla masseria dei Camporota e qui passarono la notte. L' indomani si incamminò per la Basilicata. Racconta ancora il Bellizzi che il 15 agosto si presentò sul Pollino la banda di Antonio Franco, armata fino ai denti. Subito fu riconosciuto perchè il Franco nel 1862 gli aveva dato l' ordine di chiedere al suo padrone, Vincenzo Pace, " dodici paie di vestiti alla brigantesca, tre carabine e tre pistole a due canne ", che il Pace aveva rifiutato. La banda si rivolse poi ai massari di D. Pietro Toscano dai quali ricevette pane e caciocavalli. Poi disparve tra i monti. La banda dei saracenari e quella di Franco, prima di passare in Basilicata, bivaccò nelle gole di Serragrifa, mangiandovi quattro pecore rubate a Giuseppe Zito di Cassano e portate da Salvatore Rimola, mandriano al servizio di Pace. A Serragrifa i briganti avevano un grosso deposito che al ritorno dalla Basilicata trovarono saccheggiato: vi avevano persino materassi! Se la presero col Rimola che legarono e bastonarono, ma il La Valle che lo conosceva, lo liberò comandandogli di andare a procurare pane e acqua. Del che il Rimola profittò per fuggire. Tutto ciò egli raccontò al suo padrone, Vincenzo Pace, dal quale venne subito arrestato. Al Pace il Bellizzi denunciò un massaro di D. Pietro Toscano, di nome Domenico, indicandolo come la persona che sapeva tutto sui briganti, " ne era il pensiero " ed il capo massaro di Giuseppe Zito. Al processo celebrato l' 8 settembre 1863 al tribunale di Rogliano, il Bellizzi nella cui casa di Frascineto la polizia aveva trovato la roba dei briganti, ed il Rimola vennero difesi d' ufficio dal luogotenete Bellardini. Il Bellizzi con sentenza dell' 8 ottobre 1863 venne condannato ai lavori forzati a vita ed il Rimola a dieci anni di lavori forzati. Il 14 ottobre 1863, Maddalena Gagliardi, ventiduenne filatrice, di Saracena, verso le quattro del mattino venne svegliata da due compaesani, il possidente Rizzo Leone, di anni 19 e Di Sanzo Alessio, forese, e persuasa ad andare a raccogliere un cesto d' uva nella vigna di Rizzo. Ma, appena uscita di casa, fu condotta in una " torre ", dove erano i due capi briganti Di Pace e Di Napoli. Si gozzovigliò bevendo, mangiando maccheroni e ballando al suono di una cornamusa. La Gagliardi adducendo una esigenza personale, uscì dalla torre e profittando dell' oscurità fuggì. Raggiunta dai briganti, sospettata che volesse recarsi a denunciarli da questi venne denudata, picchiata, ferita e, infine, legata nuda ad un albero, anche per i capelli. Il 17 ottobre 1863, il Di Pace e il di Napoli, con i quali era anche il brigante Saverio Jannuzzi, di San Donato, dopo essersi abbandonato ad abbondanti libagioni tracannando il vino che aveva loro portato Michele Maradei, di Mottafallone, bracciale, aggredirono e violentarono alcune donne di San Donato. Due giorni prima il 15, erano stati arrestati in Firmo Damiano Carlo , Milizio Frega e Castellano Francesco, nativi di Firmo, accusati di convivenza coi briganti di Saracena, di manutengolismo e di aver dissuaso i briganti Di Pace e Di Napoli a costituirsi. Al processo celebratosi nel 1864, Luigi Gramazio fu Domenico, barone e sindaco di Firmo, capitano della Guardia Nazionale, di anni 42, ricco possidente - la sua ricchezza era valutata lire 100.000 - nell' interrogatorio disse che aveva dato l' incarico al salinaro Giuseppe Gangale di ricercare i due capi briganti saracenari e di persuaderli a costituirsi " nel loro interesse e delle loro famiglie e del paese ". Nella notte tra il 14 ed il 15 il Gangale incontrò i briganti lungo il fiume Tiro li persuase a costituirsi e, a tal fine, i due briganti si erano portati in paese. Appena informato, il barone Gramazio li mandò a chiamare in casa del Damiano, nella cui sottostante cantina i briganti avevano bevuto e mangiato. Ma non vi erano più: avevano ripreso la via dei monti. Il barone Gramazio ricordò che nel 1862 si erano a lui costituiti alcuni briganti di Acquaformosa che, tra gli altri, avevano ricattato il massaro Diego Longo dal quale avevano ricevuto prosciutti meravigliosi. Frega Milizio aveva fatto parte della colonna Pace a Capua. Il Damiano invece, aveva avvelenato Giuseppe Somma, marito della sua amante Carolina Benedetto, ma per questo non era stato perseguito perchè protetto dalla vecchia polizia borbonica di cui era " energica spia ". Dal 1861 risultava unito ai briganti. Il barone Gramazio volle anche ricordare che un brigante di Acquaformosa, fratello del brigante Gian  Battista Barletta, venne ucciso in un conflitto con la Guardia Nazionale e la sua testa infilzata ad un palo, venne portata in giro per il paese, come usavasi. ( Il Damiano ed il Frega vennero condannati ai lavori forzati a vita ed il Castellano assolto ). La banda dei saracenari aveva deciso di assassinare D. Leone Pompilio, luogotenente della Guardia Nazionale in Saracena, spietato loro nemico, ma l' agguato tesogli non riuscì. Passò invece, Paolo Forestieri, lo sequestrarono unitamente al suo terriero Vincenzo Colarella. La famiglia del Forestieri versò alla banda 900 ducati, due fucili a doppia canna, due pistole e vari commestibili, ma solo dopo dieci giorni il Forestieri fu lasciato libero tra Carambola e Morano. Nel trasferirsi a Pollino per unirsi alla banda di Antonio Franco e passare di nuovo insieme in Basilicata, la banda ebbe uno scontro a fuoco con le forze di polizia e dell' esercito. Perdette un uomo. Lo stesso giorno - è il 12 luglio 1864 - Fedele Marzano di Rocco, di Morano, proprietario, mentre si recava a Mezzocammino, fu catturato dalla banda. Fattolo salire su di un cavallo, fu condotto a Gaudolino. Qui vennero picchiati a sangue due foresi che non avevano voluto consegnare i latticini prodotti nella mattinata. Da Gaudolino la banda si portò alla montagna Chiaromonte al punto detto Vacquaro fermandovisi. Il capo banda Franco che si qualificava " sergente borbonico " dettò al sequestrato una lettera con la quale il Marzano chiedeva al padre 12.000 ducati ( non inviandoli sarebbe stato ucciso ), quattro orioli, due schioppi a doppia canna e due some di roba da mangiare. La lettera venne consegnata a Leonardo Pugliese, detto Mezzanotte, di Morano, forese di D. Giovanni Rocco, di Morano. Il Marzano ad eccezione del primo giorno, fu trattato bene ed il 23 fu liberato. Il Franco gli diede una lettera da consegnare al sindaco di Morano. Nel suo interrogatorio reso l' 8 agosto, il Marzano, dopo aver descritto i briganti come gente rozza, violentissima, aggiunge che il capo banda Franco portava seco una bandiera borbonica, sosteneva come prossimo il ritorno a Napoli del re Francesco II, e accusava il governo italiano di averlo ridotto a scorrere la campagna e che era perseguitato dal sindaco di Terranova. I briganti, per dimostrare che non avevano paura dei moranesi, raccontarono di essere stati a Morano " a passeggiare alla Maddalena, verso le due di notte di avervi mangiato e bevuto, di aver veduto le Guardie Nazionali che giocavano a carte nel posto di guardia e due carabinieri in perlustrazione ". Rocco Marzano, padre del sequestrato, ricevuta la lettera del Franco inviò subito al brigante, a mezzo del suo bovaro Scaravaglione Giuseppe e del suo servo e confidente Fedele Di Mare, di Morano 320 ducati, cinque grossi pani, un prosciutto ed altri commestibili, vestiario. Il Franco non rimase soddisfatto e li rimandò indietro con l' ordine di portargli un salmaggio di viveri ed il denaro chiesto in precedenza, avvertendo che, non provvedendovi, avrebbe mandato al Marzano la testa del figlio. E l' indomani portarono al brigante altri 250 ducati e senza farsi vedere dagli altri briganti lo Scaravaglione consegnò a Carlo Di Napoli sei anelli d' oro e al Franco venticinque grossi anelli parte vecchi e parte nuovi, che il Marzano aveva acquistato dal suocero Francesco Quattrocchi e dagli orefici di Morano e di Castrovillari. Il Franco andò in bestia - gli altri briganti in numero di undici erano inferociti - buttò il denaro, ma poi lo riprese, gridando che il Marzano non era un galantuomo, che non amava suo figlio e perchè gli avesse messo alle calcagna la polizia che in quelle zone era stata vista in perlustrazione. Il Franco era un uomo sulla trentina, di corporatura snella, statura ordinaria, capelli, baffi e basette rossiccie, portava in testa una coppola rossa, vestiva giacchetta di castoro blu e pantaloni di bordiglione all' istesso colore. Che la polizia fosse in moto, ma non per la denuncia del Marzano, era vero. Al comando del capitano Edoardo Pace, di Castrovillari, elementi della Guardia Nazionale di Castrovillari, di concerto con quella di Rotonda, si erano avviati verso il Pollino. A Ruggio il Pace trovò venti G. N. di Mormanno al comando di un ufficiale e carabinieri. Divisi i loro compiti, il Pace giunse a Gaudolino, punto di passaggio dei briganti e quivi passarono la notte, ad aperto cielo, con un freddo insopportabile. Il giorno seguente giunsero sulla vetta del Pollino, ma prima di arrivarvi avevano fermato tal Lorenzo Francesco di Morano, che guidava due asini carichi di vettovaglie inviate dal Marzano ai briganti. Il comandante lo lasciò andare per sorprendere i briganti. Il conduttore, giunto alla contrada delle mandrie di Toscano, si fermò. Dal sovrastante monte, privo di alberi, da una gola sbucarono due individui, subito fermati. Erano Scaravaglione Giuseppe e Fedele Di Mare, il primo bovaro ed il secondo servo di Rocco Marzano. Lo Scaravaglione portava in due sacchetti 204 ducati - era il terzo viaggio che compiva - . Sequestrato il denaro allo Scaravaglione fu ordinato portarsi al punto prestabilito dell' incontro con i briganti del Franco, concordando un segnale per avvertire l' arrivo dei briganti. Fatto è che lo Scaravaglione fece un segnale, ma ai briganti che fuggirono. Fu arrestato e successivamente processato insieme alle altre persone che avevano eseguito gli ordini di Rocco Marzano. La banda del Franco e dei saracenari vagò per i monti nel versante della Basilicata, ma in novenbre li ritroviamo sui monti della Saracena. Si erano nuovamente separati perchè il Franco preferiva ritornare in Basilicata, che anzi diceva di voler raggiungere Roma. Ma fu catturato il 28 novembre 1865 nel territorio di Lagonegro. Il Di Pace e il Di Napoli " perdurarono nella delittuosa carriera con positivo pregiudizio dell' umanità ".